All’abbondanza della produzione agricola si affiancò, nel Medio Regno, un florido artigianato che, nelle città, consolidò la formazione di una classe media. Dopo la rivolta sociale, infiammatasi proprio a Menfi (2260) in seguito alla chiusura dei cantieri delle piramidi, gli artigiani erano stati accolti in gran numero nei laboratori provinciali, dove, liberi dall’esecuzione ripetitiva delle decorazioni funebri codificate da rigide regole, maturarono e affinarono il loro gusto personale. Ne derivò una produzione varia, ricca e originale che espresse i suoi migliori risultati nella gioielleria. Ora l’Egitto del Medio Regno, oltre alle eccedenze agricole (grano, lino, papiro), aveva abbondanza di prodotti artigianali che il consumo interno non riusciva a smaltire, soprattutto quando si trattava di merci pregiate (gemme lavorate, unguenti e profumi, monili d’oro, pelli ferine, ebanisteria ecc.). Lo sbocco a tutte queste eccedenze, sia agricole che artigianali, non poteva essere che il commercio di esportazione con altri paesi, soprattutto con le terre del Levante e Creta. Le navi fenicie distribuirono la raffinata produzione egizia in tutti i porti del Mediterraneo e, in cambio, fecero giungere in Egitto lo stagno spagnolo, il legname, l’argento; da Creta, che controllava tutte le isole del mare Egeo, arrivavano, oltre al vino e all’olio, i motivi della sua arte raffinata che si diffuse in tutto l’Egitto. In materia di scambi con gli altri paesi, gli Egizi non ignoravano il concetto basilare secondo il quale, per stabilire una corrente costante, non bastava aumentare la produzione interna destinata alle esportazioni, ma bisognava aiutarla con un polmone sussidiario, accogliendo nel paese empori o fondachi stranieri. Già dall’Antico Regno Biblo assolveva a questa funzione, ma ora basi commerciali permanenti fenicie, cretesi e siriane vennero create sul Delta. L’Egitto si era aperto all’esterno.